… Poco dopo scivolai ancora in un sonno tormentato questa volta dai suoni che giungevano dai mortali che, frenetici, vivevano le loro vite ignari di quello che si celava nelle ombre.
Il tocco di una mano fredda mi ridestò ancora una volta. Mi tirava avvicinandomi sempre più alla superficie. La terra tutto intorno a me iniziò a spostarsi. E poi l’aria sulla pelle finissima mi investì con una tale violenza che quasi urlai. Gli occhi iniettati di sangue si muovevano frenetici cercando di abituarsi a quelle strane luci. Il sussurro del vampiro accanto a me era un urlo spaventoso alle mie orecchie.
Mi coprì con un tessuto pesante, forse un cappotto, e mi portò lontano, tra le mura sicure di un’abitazione non molto distante. Quando mi lasciò con delicatezza sul divano tutto si era acquietato, ma la sete era ancora pulsante. C’era solo quel sordo suono che rischiava di farmi impazzire. Cercai di guardarlo, e solo dopo alcuni minuti riuscì a metterlo a fuoco veramente. Il violino e la sua figura mi avevano ingannata. Per un istante quando avevo sfiorato la sua mente mi ricordò il fratello di Camila. Ma ora che riuscivo a vederlo meglio aveva dei tratti diversi. E a parte la passione per la musica non li accomunava altro. I suoi occhi erano di un marrone intenso, tendente al nero e al viola. La sua figura era snella e slanciata sebbene sembrasse un po’ deperito per la fame. Ma quello che mi affascinava erano i capelli, lunghi e fluenti. Una massa di capelli neri che sembravano vivi. Mi portò un’altra coperta. E lo ringrazia.
Sapevo di avere un aspetto ancora orribile,. ma non me ne curavo. Restava fermo immobile e mi guardava. Sembrava affascinato, o semplicemente incuriosito.
L’odore del suo sangue era invitante tanto quanto quello dei predatori di cui mi nutrivo in passato. E in un unico istante capì che quello che mi aveva spinto a sfiorare la sua mente non era un contatto con un membro della mia razza. Non ne avevo mai avuto bisogno. Noi siamo predatori solitari, questo mi aveva insegnato il poco tempo trascorso con Esteban. Non avevamo bisogno della reciproca compagnia, non per lungo tempo almeno. Non come lo intendono i mortali. Dopotutto eravamo e siamo assassini, della peggior specie. Dei peccatori che camminano per le strade servendosi del vantaggio che davano le tenebre. Quando parlai la mia voce fu un sussurro appena udibile. La gola bruciava e si graffiava per lo sforzo.
“Grazie… Per avermi riportato alla vita…”
Lui sorrise. Non si era ancora abituato al nostro mondo e si stupiva per quello che ancora non riusciva a comprendere.
“Se mi dai del tempo ti porterò qualcuno da cui poterti nutrire…” disse. Oh che voce melodica aveva. Sembrava che accarezzasse la pelle da quanto era dolce. “Qui sarai al sicuro nessuno ti troverà e ti disturberà, per cui riposati.”
In risposta riversai nella sua mente un unico pensiero. Fame! E non potevo attendere, non oltre.
Ebbe soltanto il tempo di voltarsi.
Le mie mani lo afferrarono per la spalla mentre il mio busto si sollevava in un moto di urgenza. Paura. Terrore folle. Quando gli lacerai la carne del collo non lo feci nella solita dolce maniera. Non ne avevo il tempo ne la lucidità mentale. Il fiotto di sangue che mi riempì la bocca era fuoco ardente che scendeva fino in fondo alle mie viscere. Che dolcezza infinita. Per quanto fosse stato giovane aveva dovuto uccidere ogni notte. E il peggio era che aveva cacciato a caso, nessuna educazione, nessun senso a quel loro nutrimento. Un assassino di innocenti.
E quella innocenza rubata era ambrosia che sfiorava il mio palato e ridava vita al mio cuore. Le mie braccia erano serrate al suo busto mentre la sua vita riaccendeva ogni cellula del mio corpo fino a sfiorarmi l’anima. Quando anche l’ultima goccia del suo sangue toccò la mia lingua la sete che sentivo nel profondo si placò istantaneamente. Il povero ragazzo si accasciò lentamente al divano privo di vita.
Un’energia nuova ed elettrizzante mi invase, oltre alla sua vitae avevo anche bevuto i suoi ricordi e le sue esperienze. Sazia e di nuovo piena della forza necessaria a tornare la predatrice che ero stata un tempo, lasciai cadere le membra inermi del violinista senza dargli alcuna attenzione. Le voci si erano acquietate e lentamente stavo riprendendo il controllo di tutto quello che mi circondava. Ora potevo tornare a camminare tra i mortali. Finalmente. E una notte prima o poi avrei ottenuto la mia vendetta su quell’ hijo de puta.
Quel poco che avevo visto dai ricordi del ragazzo mi aveva restituito la voglia di vivere e non volevo perdere un solo istante solo per andare a caccia di Esteban. Avevo già perso fin troppo nel secolo precedente. Ed ero stanca. Questa era una nuova vita.
Una nuova leggenda da far nascere.